27.12.07

In America hanno i balli della scuola perché non hanno le tapparelle

Non pensavo che qualcuno sarebbe riuscito, nel breve, a scalzare il Supermayer Lost In Tiergarten Remix di Rufus Wainwright dal trono di pezzo più gheisho, ascoltato e canticchiato allo stesso tempo dal sottoscritto. Il tipo in questione mi aveva già fatto fischiettare di crisantemi, ma ora ha preso in mano She’s The One di Caribou e il risultato è tale da far sembrare al confronto eterosessuale persino Patrick Wolf o Carlo Conti: una colata di stucco barocco, il ballo della scuola all’inferno tra le urla e i pizzi, il testo recitato(!). I violini riportano alla mente il Fortdax di You Are Here, mentre si scartabella nella memoria filmica (e in youtube) tra i migliori balli della scuola, noi che ci siamo sempre ritenuti fortunati ad aver scampato la temibile tradizione in cambio di qualche zaino Invicta. Incappo così nelle gustose scene disco di Prom Night*, tipo quella della decapitazione e quella dello scontro finale. In Italia l’avevano chiamato Non Entrate In Quella Casa (forse in riferimento al fatto che da noi i balli della scuola erano sostituiti da feste in casa, la maggior parte delle quali da evitare come suggerivano appunto i titolisti). Comunque, Kelley Polar uscirà a inizio anno col suo secondo disco e dopo questa messinscena sobria quanto le tenute di Ratzinger lo si terrà ancora più d’occhio.

* nel 2008 uscirà un remake di Prom Night con Brittany Snow: io lo chiamerei TapparHell


She’s The One (Kelley Polar’s Hughes Wilson Prom Night In Hell Version) - Caribou ft. Jeremy Greenspan

12.12.07

Music For Babies


Baba Yaga! Baba Yaga! Baba Yaga!

(la Gam Gam del minimal funk, la D.A.N.C.E. dei Beatport nerd. Gli infanti di Christian Vander dei Magma su un pianoforte filtrato à la french-house. Già in tutte le discoteche rumene, prossimamente nelle vostre calze da befana. Sicuri che sia tutta colpa della paternità?)

11.12.07

Senza pensarci


One Pure Thought (promo) - Hot Chip

Tutto uguale e diverso

Dicembre torinese, in prova il lavoro di un anno. Coi problemi che vengono fuori ci faccio il prossimo. Due weekend di mezzo e due eventi a portata di mano. Matthew Dear nelle vesti di Audion venerdì scorso a Milano, Ewan Pearson sabato prossimo a Firenze. Ho saltato il primo. Stanchezza della settimana pesante, accenni di raffreddore e una mezza speranza che comunque me lo ritroverò davanti prossimamente. Decido allora di consolarmi con Nathan Fake perché qualcosa mi dice che non assisterò al set né carne né pesce visto al Primavera di Barcelona. Se anche fosse, non mi dispiacerebbe, penso sotto gli addobbi natalizi di Via Roma che quest’anno sembrano delle mirrorball ricoperte di pelo superfluo – aggiungere Silent Night in una versione non a caso. L’ultima volta che sono stato nel posto dove ora fanno Xplosiva, il dj suonava Fatman Scoop, Taj Mahal e quel pezzo tremendo coi cori afro. Tutto sembra uguale, compreso la macchina spara-fumo. Tutto è diverso, quando le mie giunture ormai scricchiolanti e i miei pigri neuroni si defatigano al suono della stupenda Fiori di Âme, nella pur necessaria club edit. Poi il giovane pennellone makes his computer sneeze e tira fuori un set in cui, alla maniera dei live remix dal singolo di You Are Here, i pezzi del repertorio vengono resi fruibili per un contesto più danzereccio. Potrebbe sembrare una resa di fronte alla tiepida accoglienza di passate esibizioni in contesto da club, ma è pura consapevolezza che se la tua musica non è facilmente catalogabile come dance o come pop, tanto vale giocare coi contesti ed esplorare le possibilità ora assecondando, ora sovvertendo. È stato un piacere allora ballare su frammenti e loop di quelle melodie posati su ritmi andanti e con la cassa (quasi) mai in primo piano, tanto che però ora vorrei anche un concerto con le versioni pop da caminetto. Vabbe’, potrei scambiare il caminetto con lo sfondo cartonato di una spiaggia, volendo.

You Are Here (Live) - Nathan Fake
You Are Here (Live Remix) - Nathan Fake
Silent Night - Nathan Fake

6.12.07

Perché possiamo non essere noi stessi

Si dice che certi passati musicali non si possano nascondere. Nel caso dell’hardcore, per via dei tatuaggi. Se però da batterista hardcore (e poi punk, speed-metal e art-rock) dopo vent’anni ti ritrovi produttore di techno minimale, con molta probabilità non suonerai molto spesso a torso nudo. Bruno Pronsato è un nome d’arte, di quelli che starebbero bene in una compilation di italo-disco anni Settanta. Gino Soccio, Cerrone, Bruno Pronsato. Bruno Pronsato in realtà si chiama Steven Ford, è di Seattle, ma ormai vive a Berlino. Bruno Pronsato, a pensarci bene, potrebbe anche suonare come uno dei giovani fenomeni della ormai matura scena sudamericana. Paulo Olarte, Luciano, Bruno Pronsato. Nel suo nuovo disco c’è una voce femminile che ogni tanto parla in spagnolo con accento sudamericano. È Barbara, la sua ex-moglie argentina, ora registrata in studio, ora raccolta di nascosto durante le telefonate intercontinentali alla famiglia. Il binomio funk, percussioni, riferimenti pop poi rimanda all’Innominato per eccellenza della scena sudamericana. Eppure Why Can’t We Be Like Us è ‘altro’, a partire dal titolo così felice. Non è la triste affermazione dell’impossibilità di essere se stessi, ma la confidente voglia di essere sempre ‘altro’ dalla propria cristallizzazione. Un turista a casa, a casa in viaggio. ‘Altro’ al punto che non è tanto un disco da ballare. Pronsato è venuto a Bari nel Settembre scorso: io non sono potuto andare, ma dopo l’ascolto del disco non so se sarei andato. Più che la pista da ballo, Why Can’t We Be Like Us mi fa venire in mente quei dischi che una decina di anni fa prendevano le canzoni rock e pop, le riducevano in frammenti, talvolta anche melodici, e le ricombinavano con ordini diversi dai soliti. Dieci anni fa ascoltavo in poltrona i Gastr Del Sol e Jim O’Rourke. Oggi Bruno Pronsato. Davvero tutto è cambiato?



Why Can’t We Be Like Us - Bruno Pronsato
What We Wish - Bruno Pronsato